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Chi ha ucciso Berta Cáceres? Il libro inchiesta di Nina Lakhani in libreria per Capovolte

Cover Berta Caceres 23 / 2 / 2021  Globalproject.info

Il libro inchiesta di Nina Lakhani in libreria per Capovolte, in occasione del quinto anniversario dell’omicidio della leader indigena, avvenuta il 2 marzo del 2016.

“L’esercito ha una lista di persone da uccidere, con il mio nome in cima. Io voglio vivere, ma in Honduras l’impunità è totale. Quando vorranno ammazzarmi, lo faranno”.

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Con Berta nel cuore

COMITATO BERTA VIVE MILANO

5 anni. Sono passati 5 anni da quella orribile notizia che non avremmo mai voluto ricevere: hanno assassinato la compañera Berta.

Ricordiamo lo stupore, la rabbia, le lacrime. E poi la risposta, collettiva, mondiale, che non si è mai fermata. Berta se hizo miliones, Berta soy yo. Continua a leggere

Campagna CAMMINO per CUBA CONTRO IL BLOCCO

CAMMINO per CUBA CONTRO IL BLOCCO 

STAFFETTA VIRTUALE di RESISTENZA REALE

#CamminoPerCuba #NoMásBloqueo #UnblockCuba

 

In epoca di confinamento Covid-19 (in casa o in città), tutti noi tentiamo di “prendere aria” uscendo per camminare, guardarci intorno e rasserenarci. Nel mentre, tutte le nostre attività associative abituali sono sospese o limitate dal tramite dello schermo del computer, che ci tiene collegati.

AsiCubaUmbria propone di intrecciare fra loro queste due azioni, aggiungendo al camminare un plusvalore politico, di utilità sociale e solidale: ritrovandoci tutti nella parola d’ordine NO AL BLOCCO, che, sappiamo, strangola Cuba anche in tempi di pandemia (perfino impedisce/ostacola l’acquisto di dispositivi sanitari), vogliamo idealmente percorrere a piedi tutta Cuba, da un capo all’altro dell’isola (1356 km), in pacifica e salutare protesta!  Continua a leggere

Comunicato d’indignazione per la morte di Keyla Martínez, mentre era sotto custodia della polizia.

Oggi la comunità honduregna immigrata in Spagna è indignata per la morte di Keyla Patricia Martínez (26 anni), figlia di una donna honduregna immigrata in Spagna. Keyla si trovava sotto custodia della polizia, quando morì sabato 7 febbraio in una cella dell’Unità Dipartimentale della Polizia Nazionale, a La Esperanza, Honduras. Per via del coprifuoco e della relativa sospensione delle garanzie costituzionali, era stata portata lì dalla polizia e rinchiusa in una cella. Pertanto c’è una responsabilità diretta della polizia nella sua morte, eppure si rifiutano d’indagare le circostanze in cui è avvenuta. Che cosa stanno nascondendo? Che cosa occultano dell’assassinio di Keyla per mano della polizia?

Il caso di Keyla è un altro femminicidio che si aggiunge alla lista, in un Paese dove l’impunità supera il 90 %. Tra il 2010 e il 2019 appena il 35 % dei casi pervenuti al Pubblico Ministero entrarono nei tribunali. Dei 104 casi di femminicidio giunti alla Corte Suprema di Giustizia tra il 2014 e il 2019, soltanto 23 hanno ottenuto una sentenza. Secondo il Centro dei Diritti della Donna, nel corso del 2020 si sono registrate 247 morti violente di donne. Denunciamo anche i femminicidi di: Alba Flores (15 anni) nelle Isole della Bahìa, Keily Hernandez (19 anni) a Siguatepeque e Leonor Calix (48 anni) a Jutiapa, compiuti nel giro di 24 ore. Non permetteremo che il caso di Keyla rimanga impunito, per di più quando l’istituzione statale honduregna preposta alla “sicurezza pubblica” è direttamente implicata.

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Honduras: femminicidio di Stato

Honduras: femminicidio di Stato

L’abbiamo già detto e non ci stancheremo mai di ripeterlo: in Honduras le vere pandemie sono quelle dei femminicidi e dell’impunità.

12.02.2021 – Giorgio Trucchi

La notte del 6 febbraio, Keyla Martínez, 26 anni, giovane studentessa del corso di laurea in Infermieristica, è stata arrestata nella città di La Esperanza per aver violato il coprifuoco imposto dal governo Hernández, come misura per combattere la pandemia di Covid-19.

La ragazza è stata fermata intorno alle 23.30, portata in commissariato e rinchiusa in una cella. Alcune ore più tardi, il corpo senza vita di Keyla veniva portato al pronto soccorso dell’ospedale dipartimentale.

Secondo la polizia, la giovane si sarebbe suicidata impiccandosi alle sbarre della cella. Una tesi già scartata dall’autopsia, da cui risulta che la vittima è morta per asfissia meccanica, il che dimostra trattarsi di omicidio.

l’articolo completo qui  https://www.pressenza.com/it/2021/02/honduras-femminicidio-di-stato/

 

Le comunità indigene stanno riforestando le Ande 

L’iniziativa ha come obiettivo ripristinare i boschi alle altitudini più elevate del mondo. Per conservare ciò che ancora esiste e recuperare ciò che si è andato distruggendo. Questo è il lavoro che stanno realizzando i popoli tradizionali del Perù, che stanno piantando queñua (Polylepis spp.), una specie endemica che cresce nelle zone alte delle Ande.

Diffuse fino ad un’altitudine di 5.000 metri, le piante di queñua sono state ormai distrutte dagli incendi e dal pascolo, ma col progetto “Azione Andina” possono avere una seconda opportunità.

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Mobilitazione Globale “PER LA VITA E IL TERRITORIO, GIUSTIZIA E VERITA’”

Il 18/01/21 esigiamo di riavere vivi Sneider, Milton, Gerardo, Suami

Mobilitazione Globale “PER LA VITA E IL TERRITORIO, GIUSTIZIA E VERITA’”

Unisciti postando un video a sostegno

Il 18 gennaio 2021 si compiono sei mesi dalla sparizione forzata dei giovani garifuna della Comunità di Triunfo de la Cruz, Honduras: Milton Joel Martìnez Avila, Suami Mejìa Garcia, Gerardo Misael Trochez Càlix e Albert Sneider Centeno Thomas (presidente del Patronato della comunità), che furono sequestrati in modo violento da persone identificate come agenti della Direzione di Polizia Investigativa (DPI) il 18 luglio 2020. Non dimentichiamo che lo Stato dell’Honduras è il Responsabile della sparizione forzata dei giovani garifuna della Comunità di Triunfo de la Cruz.

Non dimentichiamo che la sparizione forzata dei giovani è collegata direttamente alla difesa del territorio garifuna e che la Comunità di Triunfo de la Cruz dispone di una sentenza a proprio favore, emessa dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani nel 2015, a cui lo Stato dell’Honduras non ha adempiuto.

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HONDURAS POST-URAGANI

Al di là dei dati macroscopici che quantificano (e nemmeno in maniera sempre attendibile) l’entità della devastazione nell’Honduras post-uragani, per rendersi conto di ciò che tutto questo significa per la “qualità di vita” dei sopravvissuti, bisogna avvicinarsi al loro quotidiano e ascoltarne le testimonianze.

Emerge preponderante il sentimento di abbandono da parte dello Stato, accusato di aver dato l’allarme solo con molto ritardo (c’erano da favorire gli introiti del turismo nella cosiddetta ”settimana morazanica”), non aver organizzato un sistema adeguato per salvare vite, aver mobilitato posteriormente mezzi di soccorso insufficienti a fronte delle immani necessità, aver predisposto un numero altrettanto esiguo di centri d’accoglienza dove il sovraffollamento e la carenza di condizioni igieniche hanno nefaste conseguenze, essere del tutto assente nell’assistenza alle necessità di base della popolazione successive al disastro.

FAI DA TE, LO STATO NON C’E’

La percezione chiara e diffusa è di essere stati abbandonati a se stessi.

Storie di famiglie rimaste per giorni abbarbicate ai tetti delle case o agli alberi, sotto la pioggia, senza cibo, con l’inondazione tutt’intorno, la consapevolezza di aver perso tutto, magari anche in lutto per i loro cari, mentre la stessa vita loro era appesa al filo di speranza che qualcuno arrivasse a recuperarli… “Ci mettevamo a piangere, perché passavano gli elicotteri solo per farci fotografie, mentre noi non avevamo neanche acqua potabile per bere”.

 

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Honduras: DISASTRI “NATURALI”?

Le prime due settimane di novembre hanno rappresentato una catastrofe per il Centroamerica. Due uragani d’intensità enorme (il 3 novembre Eta di categoria 4, il 17 novembre Iota di categoria 5) in successione si sono abbattuti sulla costa atlantica e sulle zone interne di quei Paesi, investendo in pieno soprattutto il Nicaragua, l’Honduras e il Guatemala, ma causando distruzione e morte anche in Costa Rica, Panama, El Salvador, Belize, Messico e Colombia.

Il 2020 è stato un anno record per numero di tempeste e cicloni tropicali, superiori anche alla stagione 2005, l’anno di Katrina, e quando diventano uragani propriamente detti, i dati mostrano che anche la loro potenza distruttiva sta aumentando costantemente nel corso degli anni, parallelamente all’aumentare delle temperature globali delle acque.

I cambiamenti climatici in corso li rendono quindi fenomeni sempre più frequenti e devastanti. Mai prima d’ora si erano verificati in così rapida successione e violenza distruttiva. Definirli “naturali” rischia di nascondere le responsabilità di un modello di sviluppo globalizzato vorace depredatore di risorse, produttore di veleni e scorie, distruttore di equilibri ambientali e sociali, che sta rendendo l’esistenza di noi umani e degli altri viventi su questo pianeta sempre più precaria.

Se il riscaldamento globale ha effetti su tutta quanta la Terra, ciò che viene fatto a livello locale può comunque fare la differenza tra ridurne le conseguenze o aggravarle. Vediamo il caso dell’Honduras.

HONDURAS ALLAGATO

Tutto il Paese è stato devastato, in particolare la zona nordoccidentale di primo impatto, quali i dipartimenti di Atlantida, Colón, Santa Barbara, Cortés. In quest’ultimo si trova la Valle di Sula, il polo economico dell’Honduras, completamente sommersa dall’acqua per lo straripamento dei fiumi che vi scorrono. Danni ingenti anche in Yoro, El Paraíso, Olancho, Choluteca.

Le immagini aeree rivelano la magnitudine della distruzione. I settori che hanno riportato i danni più gravi sono l’agricoltura e l’allevamento. Dati preliminari dei produttori delle aree più colpite del Paese rilevano perdite superiori alle 80.000 tonnellate di olio di palma africana, oltre 15.000 ettari di canna da zucchero, 3.700 ettari di banano, coltivazioni di ortaggi e frutta, più svariate migliaia di ettari di grani basici quali mais, fagioli, riso, oltre ai danni alle infrastrutture: abitazioni, edifici, ponti e vie di comunicazione.

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DALLE SORELLE MIRABAL A BERTA CACERES

Il nome di Berta Cáceres, difensora della terra e l’acqua, referente del popolo Lenca in Honduras, dove si oppose alla costruzione di una diga che strangola il Rio Blanco, sacro per la sua gente, risuona adesso mentre ancora riecheggiano le giornate di mobilitazione e lotta del 25 novembre, “Giorno Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne”. Assassinata nel 2016 da sicari già condannati, legati alla stessa impresa responsabile della diga, Berta fu vittima di un femminicidio politico, analogamente alle sorelle Mirabal, che in questa data vengono ricordate. La seconda tappa del processo contro gli autori intellettuali continua ad essere rinviata, senza altro senso che garantir loro l’impunità.

Claudia Korol  –  27 novembre 2020

In tutto il mondo si realizzano in questi giorni giornate di mobilitazione e lotta per il 25 novembre, “Giorno Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne”, data che ricorda l’uccisione delle sorelle Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, le “Farfalle” che affrontarono la dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana – responsabile di oltre 50.000 assassinii nei popoli dominicano e haitiano – fino al loro assassinio nel 1960, un triplo femminicidio politico.

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La amistad politica entre las mujeres

AULA A BERTA – 2 dicembre 2020

Con la partecipazione di :

Nora Cortiñas (Argentina): fundadora de las Madres Palaza de Mayo

Vidalina Morales (EL Salvador): compañera de lucha ai tempi della gioventú di Berta nelle montagne tra Honduras e El Salvador

Margarita Valenzuela (Guatemala). guida spirituale maya

Francesca Gargallo (Italia-Messico): docente universitaria femminista

Nelly del Cid (Honduras): amica, figura spirituale, femminista del Foro de las mujeres di San Pedro Sula

Yohanka León (Cuba): una delle organizzatrici del taller del paradigma emancipatorio de los movimientos

Bertha Zuniga (COPINH)

America Centrale, piove sul bagnato

Due uragani potentissimi in due settimane

Distruzione a Bilwi (Foto JP)

Managua, 18 novembre (LINyM) -. Tra la fine di ottobre e i primi giorni di novembre, l’uragano Eta, di 4^ categoria della scala Saffir-Simpson, ha prima impattato sulla Regione autonoma della costa caraibica nord (Raccn) del Nicaragua con venti ad oltre 240 km/h, e ha poi proseguito la sua traiettoria verso l’Honduras e il Guatemala già declassato a tormenta tropicale. Dietro di sé ha lasciato morte e distruzione.

La protezione civile honduregna (Copeco) ha riportato la morte di 74 persone, più di mezzo milione di famiglie colpite (quasi 3 milioni di persone), di cui 60 mila quelle evacuate. In Guatemala la furia di Eta ha fatto 46 morti, 96 dispersi e ha colpito quasi un milione di persone. Distrutte anche le coltivazioni di circa 700 mila persone. Incontabili i danni alle strutture e infrastrutture pubbliche e private e alle attività produttive. Continua a leggere

Solidarietà con Honduras

L’Honduras sta vivendo una crisi umanitaria di dimensioni enormi dovuta al passaggio dell’uragano Eta che ha colpito molte parti dell’America Centrale. Centinaia di migliaia di persone hanno perso tutto, tutti i raccolti sono andati distrutti, molte zone rimangono isolate, senza acqua potabile, né elettricità, ci sono danni incalcolabili, e dolorosamente al momento ci sono moltissimi dispersi.

Honduras sommerso – https://www.puchica.org/honduras-sommerso/

Huracán Eta, caos climático y estado colapsado https://ofraneh.wordpress.com/2020/11/11/huracan-eta-caos-climatico-y-estado-colapsado/

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Honduras sommerso

Tra il 29 e il 30 ottobre, il National Hurricane Center di Miami ha avvisato il Nicaragua e i paesi del cosiddetto Triangolo Nord (El Salvador, Guatemala e Honduras) che la tempesta tropicale Eta si stava dirigendo verso la regione e che, molto probabilmente, si sarebbe trasformata in uragano prima di entrare in Nicaragua dalla Costa Caribe Nord, per poi deviare verso l’Honduras e il Guatemala.

Domenica 1 novembre, le autorità nicaraguensi hanno decretato allerta gialla per la Regione autonoma della costa caraibica settentrionale (Racn) e per l’intera area del triangulo minero (Siuna, Bonanza, Rosita), e hanno attivato immediatamente i piani d’emergenza e di prevenzione per la salvaguardia e protezione della popolazione e per l’invio di beni alimentari di prima necessità.

La notte del 2 novembre, Eta si è trasformato in uragano e si è rafforzato fino a raggiungere categoria 4. Più di 30 mila persone sono state evacuate prima che toccasse suolo a sud di Bilwi/Puerto Cabezas (Mosquitia) la mattina del 3 novembre, con venti fino a 240 km/h.

Il giorno successivo, mentre attraversava il territorio nicaraguense lasciando dietro di sé una scia di distruzione, Eta ha cominciato a indebolirsi ed è stato declassato a tempesta tropicale. L’immediata attivazione di un efficiente ed efficace sistema di prevenzione dei disastri ha permesso che in Nicaragua non ci fossero vittime come conseguenza diretta dell’uragano.

Secondo gli ultimi dati forniti dalla Protezione civile (Sistema di prevenzione dei disastri – Sinapred) sono state evacuate più di 71 mila persone, delle quali 47 mila sono state sistemate in 325 rifugi temporanei. Sono 1.890 le case distrutte e più di 8 mila quelle danneggiate. Danni anche a strutture pubbliche come l’ospedale e il molo di Bilwi, 45 scuole, 66 ponti e 900 km di vie di comunicazione. 50 mila case sono rimaste momentaneamente senza energia elettrica. I danni ammonterebbero per il momento a 172 milioni di dollari.

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Honduras: Donne in pericolo

6.137 donne uccise negli ultimi 15 anni

Mural en Medellin (Foto G. Iglesias | Rel UITA)

Managua, 28 ottobre (Rel UITA | LINyM) -. In Honduras si registra una preoccupante escalation della violenza contro le donne, una tragedia resa ancora più drammatica dalla quarantena imposta dal governo per far fronte alla pandemia e, soprattutto, dall’assenza cronica di politiche pubbliche.

L’Osservatorio sulla violenza dell’Università nazionale autonoma dell’Honduras (Ov-Unah) stima che sono 6.137 le donne che hanno perso la vita in modo violento e le vittime di femminicidio negli ultimi 15 anni (2005-2019), con un forte aumento degli attacchi mortali a partire dal colpo di stato del 2009.

Più del 63% delle morti (3.891) sono avvenute a partire dal 2012, il 60% delle quali sono considerati femminicidi per lo più commessi dal partner o da un ex partner. Continua a leggere