DALLE SORELLE MIRABAL A BERTA CACERES

Il nome di Berta Cáceres, difensora della terra e l’acqua, referente del popolo Lenca in Honduras, dove si oppose alla costruzione di una diga che strangola il Rio Blanco, sacro per la sua gente, risuona adesso mentre ancora riecheggiano le giornate di mobilitazione e lotta del 25 novembre, “Giorno Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne”. Assassinata nel 2016 da sicari già condannati, legati alla stessa impresa responsabile della diga, Berta fu vittima di un femminicidio politico, analogamente alle sorelle Mirabal, che in questa data vengono ricordate. La seconda tappa del processo contro gli autori intellettuali continua ad essere rinviata, senza altro senso che garantir loro l’impunità.

Claudia Korol  –  27 novembre 2020

In tutto il mondo si realizzano in questi giorni giornate di mobilitazione e lotta per il 25 novembre, “Giorno Internazionale per l’Eliminazione della Violenza contro le Donne”, data che ricorda l’uccisione delle sorelle Patria, Minerva e María Teresa Mirabal, le “Farfalle” che affrontarono la dittatura di Trujillo nella Repubblica Dominicana – responsabile di oltre 50.000 assassinii nei popoli dominicano e haitiano – fino al loro assassinio nel 1960, un triplo femminicidio politico.

In tutti i femminicidi politici perpetrati negli ultimi decenni, tra cui quelli di Beti Cariño (2010 / Oaxaca, Messico), Nilce de Souza Magalhães (2016 / Rondonia, Brasile), Macarena Valdes (2016 / Wallmapu, Cile), Berta Cáceres (2016 / Honduras), Marielle Franco (2018 / Brasile), Cristina Bautista (2019 / Cauca, Colombia), possiamo riscontrare azioni preliminari e susseguenti volte a screditare le leader popolari, che ricoprono un ruolo fondamentale nella difesa di corpi e territori. Nella maggior parte dei casi gli autori dei crimini restano impuniti, giacché vi sono coinvolte grandi imprese – molte di esse multinazionali -, interessi politici corporativi molto potenti, consulenze internazionali, governi locali, forze di sicurezza. Qualcosa accomuna i processi di criminalizzazione delle donne che difendono territori, comunità e corpi dell’Abya Yala.

Berta Cáceres: un crimine emblematico 

Questa settimana doveva riprendere in Honduras il processo contro David Castillo, rinviato per due anni ed otto mesi a causa delle manovre dilatorie della difesa, accolte dal tribunale. Ancora una volta l’udienza è stata sospesa per la presentazione di un ricorso in appello da parte della difesa. Si dimostra vergognosa la complicità del Tribunale coi padroni del potere. Bertha Zúniga Cáceres, figlia di Berta e coordinatrice generale del COPINH (Consiglio Civico di Organizzazioni Popolari ed Indigene dell’Honduras), in un’intervista precedente all’udienza ci disse che le prove esistenti contro David Castillo sono contundenti ed inconfutabili. Per questo motivo la difesa cerca di condurre il processo verso un vicolo cieco.

COPINH ha denunciato che David Castillo, insieme ai membri della famiglia Atala – Jacobo, José Eduardo e Pedro Atala Zablah – e Daniel Atala Midence, sono i responsabili intellettuali dell’assassinio di Berta. Nonostante le numerose prove che li incriminano, gli impresari Atala – padroni di DESA – non sono stati mai processati, neppure citati come testimoni. Bertha Zúniga Cáceres ha rimarcato: “In questo processo vogliamo ottenere la condanna del Presidente dell’impresa DESA, il Sig. David Castillo, che ebbe un ruolo determinante nell’assassinio della compagna Berta Cáceres e negli attacchi sistematici al COPINH. Per noi è importante, perché egli rappresenta gli interessi di un gruppo economico che tenta di imporsi nei confronti dei popoli, delle resistenze. È una persona con addestramento militare che risponde agli interessi della famiglia Atala, dei gruppi che hanno tratto profitto dal modello economico basato sull’estrattivismo per continuare ad incrementare i loro guadagni. Lo consideriamo un tassello fondamentale per vincolare gli autori materiali già condannati agli autori intellettuali che permangono impuniti, mancando la volontà dello Stato honduregno di processarli e condannarli. Questa condanna ribadirebbe il fatto che Berta Cáceres fu assassinata a causa della sua lotta, che si opponeva ad interessi economici nel Paese, che continuano ad usare violenza contro le popolazioni. Un tale giudizio è anche molto importante simbolicamente per formulare il peso delle aggravanti nel crimine contro di lei, leader donna di un’organizzazione di popoli indigeni, che non ebbe paura di indicare chi sono gli aggressori delle popolazioni.”

Chi è David Castillo? 

Tra la notte del 2 e l’alba del 3 marzo 2016 venne ammazzata Berta Cáceres, cofondatrice e dirigente del COPINH, famosa e apprezzata dirigente della resistenza al colpo di stato, difensora dei territori – specie di quelli in cui abita il popolo Lenca – e negli ultimi anni profondamente coinvolta nell’opposizione della comunità Lenca di Rio Blanco alla costruzione della diga Agua Zarca, sul Rio Gualcarque, considerato un fiume sacro dalla sua gente. L’assassinio di Berta sollevò una mobilitazione nazionale ed internazionale per chiedere giustizia.

Il 30 novembre 2018 il Tribunale Penale Nazionale dell’Honduras condannò sette sicari come autori materiali dell’assassinio. Tra questi uomini, assoldati da dirigenti di DESA, vi sono l’ex capo di sicurezza di DESA ed ex tenente dell’esercito addestrato dagli Stati Uniti, Douglas Geovanny Bustillo, l’ex sergente delle forze speciali Henry Hernández, l’ufficiale delle forze speciali formato negli Stati Uniti Mariano Díaz Chávez, ed Edilson Atilio Duarte Mesa, membro delle forze armate in servizio al momento del crimine. Non si tratta di sicari scelti a caso. È una task force altamente qualificata, con personale addestrato negli Stati Uniti, coordinata da David Castillo, uno degli autori intellettuali processato in questi giorni, che operò il collegamento coi proprietari dell’impresa.

Presidente di DESA, collaboratore degli Atala, David Castillo è un ex ufficiale dei servizi segreti militari, che fu membro delle Forze Armate dell’Honduras col grado di Sottotenente dei Servizi Segreti Militari. Appare nella lista dei laureati nell’anno 2004 all’accademia militare statunitense di West Point. È accusato di aver organizzato il delitto, raccolto informazioni all’interno del COPINH e assoldato gli assassini. Fu arrestato nell’aeroporto di San Pedro Sula il 2 marzo 2018, mentre cercava di lasciare il Paese. Dalla sua udienza iniziale il 9 marzo 2018, permane in custodia cautelare nel Centro Penitenziario Nazionale di Támara.

David Castillo fu il responsabile e realizzatore del lavoro di intelligence nell’avvicinamento a Berta Cáceres, stabilendo un contatto attraverso il quale ricavava informazioni per i piani dell’impresa. Questa connessione viene utilizzata ora per intaccare l’immagine di Berta, acuendo le logiche patriarcali di attacco alle donne dirigenti, alla loro vita privata, cercando di giustificare così la presunta innocenza di David Castillo.

Perché un femminicidio politico? 

Ancor prima dell’assassinio, Berta aveva ricevuto numerose minacce. Era stata anche perseguitata e detenuta mediante una montatura giudiziaria organizzata dall’Esercito e dall’impresa DESA. Subì pure molestie sessuali da parte di agenti dell’intelligence militare – tra essi Douglas Bustillo e David Castillo – e fu vittima di una campagna di discredito, che (ora si sa) venne organizzata dal gruppo coordinato da Castillo, il quale ingaggiò giornalisti a tale scopo e alla fine l’ammazzò.

La criminalizzazione e stigmatizzazione di Berta Cáceres fu il prologo per l’assassinio. In uno dei colloqui avuti con lei, ci dsse col suo umore inconfondibile: “Ci hanno accusate non solo di traffico illegale di armi, di essere violente, di lotta armata, ma anche di essere streghe. Mi hanno incolpata di essere strega! È l’unica cosa che accetto. Qualcosa delle streghe dobbiamo avere per sopportare ciò che stiamo vivendo e per continuare ad inventare nuove lotte. Questo sì, è vero, affermo. Ma il resto no. Viviamo una smisurata criminalizzazione, specialmente per il fatto di essere donne. Riceviamo minacce alla nostra vita, alla nostra integrità fisica, emozionale, sessuale, minacce alle nostre figlie, figli, ai nostri familiari più vicini, alle nostre compagne e compagni del COPINH, a coloro che ci accompagnano, compresi gli internazionalisti. Ci sono campagne di discredito, accuse. Che siamo prostitute, streghe, pazze, che abbiamo famiglie disfunzionali. Campagne nazionali sui media dell’oligarchia, con una grande carica di disprezzo, razzismo, patriarcato. (Nel libro “Le Rivoluzioni di Berta”).

In un’intervista col giornalista Dick Emanuelsson, nel dicembre 2013, Berta denunciava: “La concessione per Rio Blanco ce l’ha DESA. Fino ad ora non ha potuto ingaggiare nessuna impresa per eseguire la costruzione, precisamente per il livello di lotta, di solidarietà e di denuncia. Per questo motivo hanno aumentato la repressione, la persecuzione, le minacce, i sequestri. Questi sicari minacciano le donne di far loro qualsiasi cosa, di oltraggiarle. Chi sono? Il capo della sicurezza di DESA, ex militare, colui che si presenta come il padrone di DESA, laureato alla West Point, specialista in intelligence militare e consulente dei servizi segreti dello Stato Maggiore. In tutti i megaprogetti, idroelettrici o minerari, c’è un legame coi militari. Io sono stata sottoposta a pressioni da parte loro per sedermi a negoziare con l’impresa. Risposi loro: “Non lo faccio, né lo farò mai”, nonostante il padrone stesso dell’impresa mi offrisse una mazzetta. Non avendo funzionato questa via, allora piovono poi tutte le accuse che conosciamo e le minacce di morte. Sul mio telefono ho messaggi del capo della sicurezza dell’impresa, dove riscontri perfino molestie sessuali”. “Questo, oltre all’uso delle dichiarazioni di coloro che furono i nostri compagni: che siamo trafficanti di armi, che ci finanziano gli europei, i gringo, che facciamo degenerare la lotta del COPINH, combinato con tutto il meccanismo per rovinare la reputazione delle organizzazioni e farle a pezzi, è una mossa molto astuta. È la strategia gringa di controinsurrezione.”

Immediatamente dopo il delitto, lo si volle far passare per “crimine passionale”. Perfino la CNN ripeté quel tormentone, elaborato dall’intelligence militare, avvalorato dalla campagna preparatoria di discredito, realizzata da tutte le centrali del potere patriarcale.

Ora nuovamente pretendono di coprire i moventi del crimine, presentando David Castillo e le sue operazioni di intelligence militare, che comportarono l’avvicinamento a Berta Cáceres, lo scambio di messaggi, il camuffamento da “alleato”, mentre inviava informazioni ai capi dell’impresa, come argomenti con cui rendere evanescente l’operazione politico-militare dei padroni del potere.

In una conferenza stampa realizzata dal COPINH e la famiglia di Berta Cáceres, così rispondeva Laura Zúniga Cáceres a una domanda insidiosa di un corrispondente della stampa: “David Castillo è uno degli assassini di Berta Cáceres. Fu un molestatore, persecutore della mia mamma, che in reiterate occasioni la minacciò e cercò d’intimidirla. Sappiamo che Berta Cáceres era una donna forte che non si lasciava spaventare, ma quella fu la sua funzione. Egli cercava d’impaurirla, le scriveva sempre messaggi. Fu la comunicazione di un persecutore, un uomo addestrato in intelligence militare, verso una persona che era la sua vittima”. Quando il reporter le chiese se c’era un rapporto amoroso tra i due, Laura lo smentì ed aggiunse: “Guardi, cercare di collegare il crimine a legami amorosi è schifoso, perché ricordiamo che la maggior parte dei delitti contro le donne sono stati compiuti da persone vicine, ma ciò non giustifica per nulla l’assassinio. Stiamo parlando di un assassino, di un ex militare, utilizzato dalla famiglia Atala per attentare contro una donna ed un popolo che sta difendendo il suo territorio, la sua vita ed il suo fiume. Stiamo parlando di un delitto, di un assassino. Questo è un Paese dove c’è impunità, ma dobbiamo puntare a che vengano processati gli assassini di uomini e donne che difendono la terra e l’ambiente; sappiamo che questo Paese è uno dei più pericolosi per loro.”

Contro l’impunità, per la vita 

I femminicidi politici – come tutti i crimini che nella necropolítica si collegano – hanno un obiettivo pesantemente disciplinante e addomesticante delle soggettività. Il patriarcato, come sistema strutturale di oppressione delle donne e delle dissidenze sessuali, fu fondato sulla violenza ed ogni volta si ripresenta su questa base. Nel nostro continente s’intreccia col colonialismo e l’imposizione del capitalismo predatore, distruttore della natura, delle comunità, dei popoli. Gli Stati Nazione sono sorti a partire dai genocidi che si sono succeduti, resi invisibili dalle versioni della Storia costruite dai vincitori. Scoprire queste violenze, smascherarle, ottenere la punizione dei responsabili, è un fatto politico risanatore, che contribuisce alla creazione di una soggettività capace di praticare disobbedienze e resistenze. Per questo continuare le azioni internazionali per la Giustizia per Berta e il castigo per David Castillo e gli Atala, sostenere il COPINH e la famiglia di Berta Cáceres, fa parte delle azioni che i femminismi popolari realizzano quotidianamente, in cui ogni colpo dato al potere, ogni “ya basta!” espresso collettivamente, arricchisce la capacità di credere e creare un mondo dove le Berta, le Macarena, le Marielle, trovino il loro posto nella nostra memoria e nel nostro grido di Giustizia.

Fonte: Desde las hermanas Mirabal hasta Berta Cáceres | Fe… | Página12 (pagina12.com.ar)

Traduzione di Adelina Bottero