“L’America Centrale si rimilitarizza” (2a parte)

“La guerra alla droga è un fallimento”, dice Laura Carlsen

ll modello di lotta contro il traffico di droga e la criminalità organizzata proposto dagli Stati Uniti in America Centrale non solo ha miseramente fallito, ma ha portato ad una intensificazione della violenza contro le popolazioni locali e alla rimilitarizzazione del territorio
7 dicembre 2012 – di Giorgio Trucchi | Opera Mundi/Alba Sud/LINyM

Laura Carlsen (Foto Nino Oliveri)

Laura Carlsen (Foto Nino Oliveri)

Questa situazione ha rivelato gli interessi occulti degli Stati Uniti, che puntano a monitorare e intervenire nei processi di emancipazione dei paesi ed in quelli di unificazione regionale.

Sulla base di questa analisi, la politologa e direttrice del Programma delle Americhe del CPI (Centro di Politica Internazionale), Laura Carlsen, ci ha detto che l’unico modo per combattere e sconfiggere le narco-attività è attraverso la promozione di un modello che parta dal basso, con la partecipazione dei cittadini e con l’obiettivo di riparare il tessuto sociale distrutto dalle politiche neoliberiste degli ultimi due decenni.

Quali sono le caratteristiche del modello di lotta contro il traffico di droga proposta dagli Stati Uniti in Messico e ora esportato in America Centrale?
Laura Carlsen: è un modello basato sulla militarizzazione del territorio e sullo scontro diretto per intercettare e mettere sotto sequestro grossi contingenti di droghe illegali, ma anche per arrestare o eliminare i membri dei cartelli della droga. Tutto ciò, per definizione, implica affrontare la violenza con maggior violenza e il risultato è l’aumento esponenziale dei morti. Ad oggi, si stima che la lotta contro il traffico di droga e la criminalità organizzata in Messico ha fatto più di 60mila morti.

Qual è il bilancio di questo modello?
E’ stato un fallimento totale. Ha generato tassi molto elevati di violenza, non ha fermato il flusso di droghe illegali che entrano negli Stati Uniti e anche l’arresto dei ‘signori della droga’ non ha contribuito a frenare il ‘business’. Al contrario, il loro arresto ha scatenato una guerra tra i cartelli per assumere il controllo del territorio, generando un incremento della violenza e delle morti.

C’è stato qualche cambiamento con l’amministrazione del presidente Barack Obama?
L’Iniziativa Merida è stata lanciata nel mese di ottobre 2007 come piano triennale. Obama cosa ha fatto? L’ha sviluppata, intensificata e prolungata a tempo indeterminato. Per la prima volta, gli Stati Uniti sono stati direttamente coinvolti nella gestione di aspetti che hanno a che fare con la sicurezza nazionale del Messico. Si tratta di un cambiamento strutturale molto preoccupante che viene ora applicato in Centroamerica attraverso la CARSI (Iniziativa per la Sicurezza Regionale per l’America Centrale). Uno dei primi effetti che stiamo vedendo è la rimilitarizzazione di questi paesi e una dinamica crescente di violenza contro i civili e  di violazione dei diritti umani.

Che interesse avrebbero gli Stati Uniti a riproporre un modello fallimentare?
Il paese (Stati Uniti) non è disposto neanche a discutere la ragione di questo fallimento e sta ricevendo forti critiche, anche dai governi della regione. Per noi, questo atteggiamento rivela che dietro la militarizzazione, ci sono interessi molto forti.

Di quali interessi stiamo parlando?
In primo luogo garantire enormi profitti all’industria bellica, che è radicata principalmente negli Stati Uniti. Sono miliardi di dollari che entrano nel paese attraverso la vendita di armi e di attrezzature militari, l’uso di società di sicurezza privata come la Blackwater, e realizzazione di sistemi elettronici e di spionaggio ai danni della popolazione.
In secondo luogo vi è un interesse geopolitico. Gli Stati Uniti vogliono un maggiore controllo sulle strategie di sicurezza interne dei paesi dell’America Centrale, soprattutto ora che molti governi progressisti o di sinistra sono stati eletti in America Latina, governi che non condividono più le politiche neoliberiste e promuovono processi innovativi. In questo senso, gli Stati Uniti cercano di rafforzare la loro presenza militare per affrontare ciò che percepiscono come una minaccia alla loro tradizionale egemonia nella regione.

C’è anche un grande interesse per le risorse naturali di questi paesi …
E’ un altro dei punti direttamente legati alla militarizzazione e ha precedenti in Colombia, dove, con il pretesto della lotta contro il traffico di droga, più di cinque milioni di persone sono state allontanate dalle loro terre. E la cosa più assurda è che ora il Dipartimento di Stato americano sta presentando la Colombia come un esempio di sicurezza e un modello da esportare in tutto il continente latinoamericano. In Messico, ad esempio, attraverso l’Iniziativa Merida, gli Stati Uniti hanno militarizzato il TLCAN (Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord) per salvaguardare i loro interessi economici e tutelare gli investimenti degli Stati Uniti in termini di risorse naturali. In ogni caso, questo è il punto: si tratta di una militarizzazione che non solo protegge gli investimenti stranieri, ma incoraggia un processo di sfollamento delle aree in cui ci sono ricchezze naturali.

In molti paesi dell’America Centrale, la protesta sociale contro lo sfruttamento delle risorse naturali viene criminalizzata. Condivide questa preoccupazione?
Non vi è alcun dubbio che si stia reprimendo la protesta sociale, in particolare nei paesi del Triangolo Nord. C’è una criminalizzazione accompagnata dalla repressione delle organizzazioni che lottano contro le miniere, i megaprogetti turistici e idroelettrici, l’espansione delle monoco0ltivazioni in gran scala. Dobbiamo approfondire l’analisi e la ricerca per avere elementi sufficienti che ci aiutino a prevedere dove si concentrerà la repressione.

Che ruolo stanno giocando la DEA (Drug Enforcement Administration) e il flusso di denaro che finanzia la lotta contro il traffico di droga in America Centrale?
Abbiamo cercato di indagare sui movimenti del denaro che viene poi utilizzato per finanziare la lotta contro il traffico di droga, ma è stato molto difficile a causa della mancanza di trasparenza. In alcuni paesi, come l’Honduras e il Guatemala, gli agenti della DEA sono autorizzati a portare armi e a sparare sui civili. Ci sembra assurdo ed è anche una violazione assoluta della sovranità nazionale e dei diritti umani internazionali. Abbiamo inoltre documentato le sofferenze causate dalla criminalizzazione della protesta e, in particolare, l’impatto sulle donne. Tutti ciò avviene con la totale mancanza di interesse da parte del Dipartimento di Stato americano.

Quali sono gli effetti di questa politica sulle donne?
Ci sono tassi molto elevati di vessazioni, torture e violenze sessuali. Le donne spesso  si mettono alla testa della protesta e della difesa delle loro comunità, contro la militarizzazione e lo sfruttamento delle risorse naturali. Nel caso dell’Honduras, questa situazione coincide con l’aumento della violenza che si è generata dopo il colpo di stato e che è aumentata con l’attuale regime di Porfirio Lobo.

Non possiamo nemmeno dimenticare la repressione contro gli oppositori al colpo di stato e l’uso di una presunta guerra contro le droghe illegali per reprimere l’opposizione politica. E tutto questo nella più completa e totale impunità. In Honduras, i casi che arrivano a una sentenza finale nei tribunali sono meno del 2 per cento e le accuse di corruzione nelle istituzioni sono all’ordine del giorno.

Anche in Guatemala la situazione è molto preoccupante. Le comunità, che non hanno certo dimenticato gli orrori della campagna genocida militare degli anni 80, stanno assistendo a una nuova militarizzazione dei propri territori, rivivendo la stessa repressione di un tempo.

Come combattere, quindi, il traffico di droga e la criminalità organizzata?
Non esiste una risposta unica, né un modello sicuro, ma sappiamo che la risposta non è la militarizzazione. È importante che questo nuovo modello sia costruito dal basso, con la partecipazione dei cittadini e con la  prospettiva di una ‘sicurezza’ che abbia come obiettivo primario la sicurezza della persona, della sua vita.

Bisogna inoltre riparare e recuperare il tessuto sociale distrutto dalle politiche neoliberiste degli ultimi due decenni. È necessario ricomporlo con programmi sociali che creino posti lavoro, che garantiscano sviluppo economico, accesso alla salute, all’educazione, al rispetto dei diritti umani. Bisogna tornare indietro e incominciare nuovamente a costruire una società forte, affinché possa resistere ai tentativi d’infiltrazioni del crimine organizzato, il reclutamento dei giovani e l’estorsione. Bisogna infine forzare la volontà politica, affinché ci sia un sistema di giustizia al servizio della popolazione, eliminando l’impunità e la corruzione.

(continua)

Note:(Traduzione cortesia Raffaella Cristofori)© Testo Giorgio Trucchi – Lista Informativa “Nicaragua y más” di Associazione Italia-Nicaragua – www.itanica.org