Honduras: un grido per la terra
“Bajo Aguàn: Grito por la tierra” è il documentario realizzato da Alba Sud (associazione catalana specializzata in ricerca e comunicazione per lo sviluppo) e dalla Rel-Uita (sezione latinoamericana del sindacato internazionale dei lavoratori del settore alimentario) sul conflitto agrario in Honduras.
La produzione è stata realizzata in collaborazione con il Movimento Mondiale dei Boschi Tropicali (WRM), con la FIAN internazionale (Fighting Hunger With Human Rights) e con il Coordinamento delle Organizzazioni Popolari dell’Aguán (COPA) e vuole portare fuori dai confini del piccolo paese centroamericano, conosciuto in Italia probabilmente solo per una produzione televisiva di tutt’altro genere (l’Isola dei Famosi), “il conflitto agrario provocato dallo sviluppo delle grandi piantagioni di palma africana, dove il movimento contadino organizzato lotta per difendere il proprio diritto alla terra”.
Il documentario ha molteplici obiettivi, come ci spiega Giorgio Trucchi, corrispondente della Rel-Uita in Centroamerica e collaboratore di Alba Sud, che dello stesso è produttore e realizzatore: “innanzitutto rompere il cerchio mediatico che si è creato sull’Honduras dopo il golpe, evidenziare i processi di concentrazione e accaparramento e stranierizzazione della terra per fomentare il modello delle monocoltivazioni in gran scala (in questo caso la palma africana) e la necessità di un cambiamento rispetto a tale modello, ma anche quello di far conoscere i processi di criminalizzazione della protesta e della lotta contadina nel Bajo Aguán e la violenza esercitata contro i settori organizzati della società”.
E’ un vero e proprio ’grido per la terra’ quello che si leva infatti dalla valle del Bajo Aguán, una delle regioni più fertili del paese. La terra qui fa gola a tanti. Per questa terra l’uomo più ricco e potente del paese, il produttore di palma africana Miguel Facussé, insieme agli altri due latifondisti locali, Reynaldo Canales e René Morales, sta portando avanti impunemente una vera e propria guerra contro le comunità organizzate contadine e rurali, guerra che dal 2009 ad oggi ha registrato un bilancio di circa 60 contadini appartenenti a diverse organizzazioni e di di due giornalisti uccisi dai membri degli ’eserciti’ privati di questi signori che agiscono in totale complicità e sinergia con le forze di repressione dello Stato honduregno, polizia ed esercito. Giunge proprio in chiusura di questo articolo la notizia che altri tre contadini sono stati uccisi domenica scorsa mentre aspettavano un autobus a Tocoa (Colón).
In Honduras, nel 1974 un timido programma di riforma agraria destinò ad alcune organizzazioni contadine, perchè le lavorassero, molte terre della regione dell’Aguán, fertile vallata a nord del paese, nel dipartimento di Colón, che deve il nome al fatto che dopo essere approdato solo su territori insulari, qui Cristoforo Colombo, il 14 agosto 1502, mise piede per la prima volta sul continente americano.
A partire dagli anni ‘90, tuttavia, lo sviluppo e l’implementazione delle politiche neoliberali messe a punto dal ’Washington Consensus’, quelle stesse che stanno causando la fame e la miseria di milioni di contadini in tutta l’America latina e centrale, attraverso diversi meccanismi – alcuni violenti come l’esproprio della terra con la forza, altri più subdoli come la concessione di crediti agrari a tassi ’usurai’ – determinò che le organizzazioni contadine perdessero le terre e queste finissero poco a poco nelle mani dei grandi latifondisti del paese.
La legge di Modernizzazione e Sviluppo del Settore Agrario del 1992, infatti, emanata durante il governo di Callejas (1990–1994) ed elaborata da Roger Norton, assessore dell’USAID e dal Comitato di Produttori per la Politica Agraria, sostituì la legge di riforma agraria del ‘72 aprendo la strada al grande potere economico e politico degli industriali, dei latifondisti e degli importatori ed esportatori del settore agropecuario, decretando la fine delle cooperative agricole ed avviando nel paese il modello del monocoltivo.
Il colpo di Stato del giugno del 2009, con il quale è stato deposto e cacciato dal paese il presidente Manuel Zelaya, ha contribuito a rendere quindi più violento un conflitto esistente già da diverso tempo, ma soprattutto ha conferito il marchio dell’impunità ai crimini che sono stati commessi contro i contadini organizzati.
Giorgio Trucchi spiega che “si tratta del conflitto agrario più sanguinoso in Centroamerica negli ultimi 15 anni, cioè dalla fine delle lotte dei movimenti armati – e aggiunge – ciò che sta accadendo nel Bajo Aguán è il risultato di un modello sbagliato di produzione e di controriforma agraria che si ha anche nel resto della regione, che impedisce l’accesso della popolazione alla terra e che colpisce duramente la sicurezza alimentare”.
E il futuro non lascia presagire nulla di buono, dal momento che “a medio termine i progetti di monocoltivazione in tutta l’America latina e centrale puntano tutti ad investire negli agrocombustibili e nei progetti di finta soluzione del cambio climatico, come il mercato del carbonio e i suoi strumenti come i REDD e i REDD+”.
Il documentario ha il pregio di raccogliere in mezz’ora di contenuti audiovisuali, preziose testimonianze raccolte sul luogo e il frutto dell’ intenso lavoro di informazione e ricerca sociale che Giorgio Trucchi, come corrispondente della Rel-Uita sta portando avanti in Honduras ormai da diversi anni. Le voci dei contadini sopravvissuti, quelle delle donne degli asentamientos (i territori occupati dove vivono e lavorano) minacciate e costrette ad allontanarsi dalle loro case per proteggere la vita dei loro bambini, dei militanti e degli attivisti dei diritti umani, le immagini degli sgomberi violenti realizzati dall’esercito, si rincorrono fino a dare un quadro chiaro di sistematiche violazioni dei diritti umani. Come testimoniato dalle diverse missioni internazionali di osservazione sulla situazione delle violazioni dei diritti umani che sono state realizzate nel paese, non si tratta di casi isolati, ma queste (omicidi, minacce, militarizzazione del territorio e delle comunità, detenzioni arbitrarie, liste di persone da eliminare) sono diventate ormai una vera e propria politica, nonché strategia economica, di Stato.
La rabbia qui in Bajo Aguán è palpabile. Resistono i contadini trincerati nelle terre che difendono a costo della vita. L’essersi organizzati li ha aiutati ad acquistare forza, e anche coraggio. Chiedono l’attenzione della comunità internazionale perchè, come spiega Esly Banegas, dirigente sindacale e dirigente del COPA, che dovrebbe godere di misure di protezione come disposto dalla Corte Interamericana dei Diritti Umani, “in molti casi è quella che ci ha salvato la vita” .
Il documentario si può vedere qui.