Honduras, le ingiustizie di Zacate Grande di Silvia Giosmin

http://www.mauriziocampisi.com/letture-alterne-02-honduras-le-ingiustizie-di-zacate-grande/

29 marzo, 2013

Silvia Giosmin, padovana, dopo essersi laureata in biologia molecolare ha lavorato presso l’Ong Manitese dove si è formata sui temi della cooperazione allo sviluppo. Nel 2007 ha intrapreso un viaggio in Africa che l’ha portata ad avvicinarsi al mondo del video, in particolare del documentario. Oggi lavora all’interno della Casa di Reclusione di Padova presso la redazione del Tg2Palazzi: telegiornale organizzato e realizzato dai detenuti stessi, volto a sensibilizzare sui temi dell’attuale condizione carceraria. Inoltre collabora alla produzione di documentari di denuncia sociale all’interno del gruppo Zalab (laboratorio di video partecipativo). L’ultimo lavoro è http://inostriannimigliori.wordpress.com/zalab/. Nel 2009 ha intrapreso un viaggio in Honduras. Ha deciso di pubblicare a puntate il racconto della sua esperienza all’interno del blog:  http://zacategrande.wordpress.com

26 febbraio ’09  – LE CRONACHE DI NARDA –

Non ce la faccio… non riesco ancora a digerire le parole di Narda.
Quella notte ho pianto e mi ripetevo quello che mi aveva detto, per non dimenticarlo più.
Ho pianto per la sua forza, per l’ingiustizia, per la dignità del suo dolore e di quello della sua famiglia e ancora ho il groppo se ci penso… così decido di buttarlo giù e magari mettere un’eco, seppur piccola, alla sua voce… alla fine forse è il mio dovere qui, mettere un’eco a Zacate Grande, per quanto mi è possibile.
Un certo Nasser, proprietario di alcuni aeroporti del Centroamerica, si sposa con la figlia di Facussè e lui, per le nozze, gli regala una spiaggia; dicono che sia una delle più belle di Zacate Grande… ma non posso vederla, perché non si può entrare …posso scorgerla solo da lontano, se prendo una barca e la guardo dal mare.
È in questa spiaggia che viveva Doña Narda con la famiglia, lì vendeva bibite e piatti caldi ai turisti o ai nativi che passavano per la spiaggia.
“Vivevo tranquilla, avevo un lavoro, la mia famiglia e non avevo bisogno di nulla”.
Un bel giorno le hanno detto che il posto dove viveva non era suo e che doveva andarsene.
Doña Narda è una donna forte, non ha studiato, ma capisce quando una cosa è giusta e quando no, e si è rifiutata di andarsene.
Il giorno seguente l’hanno buttata fuori di casa assieme alla famiglia e hanno dato fuoco all’abitazione e alla piccola attività.
¨Sono venuti a chiedermi se accettavo dei soldi e un altro posto dove vivere… dopo che mi avevano distrutto la casa, la mia attività sulla spiaggia… tutto quello che avevo.
Sono venuti per farmi stare buona e io ho risposto che mai, dico, MAI avrei accettato quei soldi e quella casa… che quello che mi hanno distrutto non ha un prezzo, non si può comprare.
Mio marito non era d’accordo, mi diceva che se avessimo accettato quei soldi ora non sarei qui, in questa baracca…
Io gli ho sempre risposto che, se voleva, poteva accettarli lui quei soldi, ma io non l’avrei mai seguito, che preferisco stare qui, ora.
E prima che quelli se ne andassero gli ho detto di dire a Nasser che io ho una cosa che lui non ha.
E loro che mi chiedevano “ma cosa, ma cosa Narda? cos’hai tu che lui non ha?”
E io ho detto che ho una dignità e questa non me l’ha tolta nemmeno lui¨.
Io avevo gli occhi lucidi, Narda ha cominciato a piangere e ha continuato:
¨Quando mi hanno portato in carcere, vedevo ancora la mia casa che bruciava e le mie figlie che piangevano e mi chiedevano quando sarei uscita… io mi sforzavo di non piangere, perché non volevo che le mie figlie vedessero le mie lacrime, non volevo permettere che ciò accadesse. Mi facevo forza e gli dicevo di non preoccuparsi, che presto sarei uscita.
Ho pregato tanto per farmi forza, ma ora, anche se piango, mi fa bene parlare di quello che mi è successo, raccontarlo¨.
Ora Doña Narda vive da tre anni nell’entroterra, poco distante da quella piccola baia paradisiaca, in una capanna di legno e nylon, senza luce, acqua, elettricità… con il figlio e un nipote; le altre due figlie sono nella capitale per studiare, il marito è negli Usa dove fa lo spazzino.
Una delle figlie dopo l’accaduto si è ammalata di depressione, però “non avevo i soldi per mandarla da uno psicologo, perché parlasse del suo dolore…”
Ora credo stia un po’ meglio.
Narda è una donna che non si perde d’animo … lì, nella sua piccola baracca di nylon, mi parlava del suo progetto di mettere la luce in casa, “perché la luce è importante… anche perché mi piacerebbe iniziare a vendere qualcosa da bere e da mangiare alle persone che passano di qui …
Alla gente piace vedere che ci sono nuovi posti dove provare ricette e succhi…”
Io mi guardavo attorno e non vedevo niente a parte la luna e le stelle attraverso i buchi della parete di nylon, ma il suo mi è sembrato un bel sogno.