Sul territorio sardo gravano oltre 24 000 ettari di demanio militare, che da soli rappresentano il 66% del totale italiano.
Dagli anni ’50 Italia, Nato e Usa considerano l’isola una grande area strategica di servizi bellici. Da Capo Teulada al poligono Salto di Quirra, dall’ Isola di Santo Stefano a Decimomannu: sono queste solo alcune delle basi militari presenti in territorio sardo.
L’Isola de La Maddalena, ed in particolare l’adiacente isoletta di Santo Stefano, è stata soggetta a 35 anni di servitù militare U.s.a., una servitù illegale, poiché il patto bilaterale segreto, siglato nel 1972 tra gli allora capi dello stato italiano e americano, Andreotti e Nixon, non è mai stato ratificato in parlamento (in violazione dell’ art.80 della Costituzione). In pratica, una situazione provvisoria durata diverse decine di anni e conclusasi il 29 gennaio 2008, dopo una repentina decisione di smantellamento.
Inevitabile presupporre che la pressione di circa 3500 soldati nella zona, abbia alterato nel corso del tempo molti equilibri. Il nostro governo ha sempre ufficialmente smentito la presenza di armamenti atomici presso la base di Santo Stefano, nonostante essa fosse confermata sia dal Congresso Usa che dall’Assemblea Atlantica.
Il punto d’approdo nasce infatti a supporto del Gruppo della VI Flotta U.S., formata da sommergibili d’attacco a propulsione nucleare e ad armamento in parte anche atomico. Inoltre, a Santo Stefano son stati scavati giganteschi depositi sotterranei per carburanti, armi e munizioni.
Inizialmente l’intento era quello di contrastare i sommergibili del comune avversario sovietico, presenti nel Mediterraneo, ma una volta finita la Guerra Fredda e non essendo più necessaria tale prevenzione, andava trovata un’altra “destinazione” d’uso.
Nel 1993 viene così assegnata una rilevanza sempre maggiore alla base, che vede aumentare le competenze decisionali e operative unilaterali statunitensi (un esempio è la partecipazione dello Squadron Submarin 22°, di stanza a Santo Stefano, all’ultimo conflitto in Iraq nel 2003, quando scaricò su Bagdad missili Cruise Tomhawk). Sin dall’inizio della presenza militare straniera sull’Isola, molti sono stati i dubbi in merito alla sicurezza pubblica e le manifestazioni a favore di una demilitarizzazione repentina.
In 30 anni il Governo Italiano non ha mai prodotto un credibile sistema di sicurezza, un piano efficace di emergenza ed evacuazione né di monitoraggio delle acque e dell’inquinamento radioattivo che tutelasse il diritto all’informazione e alla salute di ogni singolo cittadini (la popolazione della Maddalena è di circa 12000 persone). Negli ultimi anni, in merito a questo, enti ed associazioni quali Asl, Legambiente, Scienziati contro la guerra, Wwf, Criirad, hanno compiuto rilevamenti delle acque e delle alghe dell’Arcipelago. In alcuni casi le analisi hanno evidenziato la presenza di elementi quali il cobalto, il Torio 234, l’uranio 238 e il plutonio.
Non c’è da stupirsi se già dagli anni Settanta numerosi medici e scienziati denunciano strani fenomeni genetici e una percentuale di tumori piuttosto anomala rispetto alla media nazionale, che sarebbe causata dalle sostanze radioattive prodotte dai reattori (il Comitato Gettiamo le basi ha diffuso impressionanti dati rilevati da un indagine epidemologica dell’ ESA, in cui risulta un +73,9% di mortalità causato da tumori al sistema emolinfatico).
La base fu smantellata e attuò riconversione in civile sia del personale che delle infrastrutture; nell’occhio del ciclone arrivò un buon diversivo che voleva mettere a tacere tutte le polemiche che riguardano una bonifica seria, urgente e a lungo termine di un territorio che dal 1996 è stato dichiarato strategicamente anche Parco Nazionale; il G8 che si sarebbe dovuto tenere sull’Isola nel luglio 2009.
Stando agli studi delle Forze Armate Usa, la bonifica di un sito militare dismesso è di 15 anni, che salgono a 30 per gli esperti non militari. E’ chiaro che sin quando la decontaminazione della zona non sarà garantita, lo smantellamento della base US resterà incompleto.